mercoledì 24 aprile 2013

Il Congresso dei Disegnatori/ The Draftman Congress

Foto dal "Congresso dei Disegnatori" 
presso L'Istituto Svizzero di Roma e ESC
Giugno-Luglio 2012
Pictures from the "Draftmen's Congress"
at Istituto Svizzero di Roma and ESC
June-July 2012





























































“di Segni e Fotografie”

“Secondo molti storici e specialisti, la fotografia ha fatto il suo ingresso tra le arti plastiche nel corso degli anni sessanta o settanta, i primo luogo come documento visivo di realizzazioni o eventi che non potevano essere esposti direttamente […] Negli anni ottanta, la fotografia entra direttamente nelle gallerie, con immagini considerate opere d’arte a tutti gli effetti e non più solo documenti o elementi di supporto. Sicché, a questo punto, si apre una dicotomia tra gli artisti che fanno ricorso alla fotografia e i fotografi puri”( Denis Riout)[1]
La riflessione di Riout  circa il rapporto tra fotografia e contesti artistici, e in particolare il nodo centrale della dicotomia tra “artisti” e “fotografi puri”,  rappresentano un significativo punto di partenza per la mia esperienza con il Congresso dei Disegnatori. Questa dicotomia, infatti, è espressione del dualismo intrinseco alle immagini fotografiche stesse: da un lato tracce del mondo reale e dunque documenti visivi; dall’altro immagini dotate di una loro autonomia estetica che ne legittima il valore artistico: “Esse appartengono a due ambiti culturali distinti, presuppongono attese diverse da parte dello spettatore e veicolano due diversi tipi di sapere […] in quanto rappresentazioni, operano in due spazi discorsivi distinti” ( Rosalind Krauss )[2]
La documentazione di eventi artistici, e la partecipazione della fotografia ad essi, può essere dunque il contesto in cui questa ambivalenza può risolversi  compiutamente in una sovrapposizione dei due “spazi discorsivi”. Questo processo trova,  a mio avviso, un territorio ideale proprio nel Congresso dei Disegnatori: Pavel Althamer ha infatti dato vita ad “ uno spazio politico dove esplorare gli effetti dell’arte nella società […]. Ognuno è invitato a partecipare alla discussione , a rispondere liberamente a questioni attuali legate alla politica, ai simboli del potere, alla crisi economica ed altro […] l’uso del linguaggio visuale è democratizzato in una conversazione collettiva che solo in apparenza potrà essere percepita come una mostra”[3]. Anche l’opera dei partecipanti al Congresso, quindi, è caratterizzata da un dualismo intrinseco analogo a quello della pratica fotografica, dato che questi disegni appartengono proprio ai due spazi discorsivi a cui fa riferimento Rosalind Krauss: quello della traccia visiva della realtà, anche politica e sociale,  e quello dell’espressione artistica “autonoma”.
Questi segni sono quindi parole e frasi di una conversazione collettiva interna al Congresso, ma anche oggetto di quella che intercorre tra l’evento artistico e il potenziale ruolo della fotografia rispetto ad esso, come strumento ideale non solo per fissarlo e prolungarlo nel tempo, perché finalizzato alla produzione di documenti, ma anche per amplificarne e condividerne le tematiche di fondo, dando vita ad opere d’arte indipendenti

Giorgio Coen Cagli


[1]  Denis Riout, “L’arte del ventesimo secolo”, Editions Gallimard, Paris, 2000
[2]  Rosalind Krauss, “Teoria e storia della fotografia”, Editions Macula, Paris, 1990
[3] Dal sito di Solidarity Action, www.solidarityaction.istitutosvizzero.it